Piccoli aumenti in arrivo per le pensioni nel 2026, ma le nuove regole penalizzeranno chi andrà in pensione tra il 2025 e il 2026: ecco cosa cambia davvero.
Nel 2026, le pensioni in Italia subiranno un incremento, sebbene contenuto, come emerge dalle proiezioni del Documento di economia e finanza approvato dal governo ad aprile 2025. L’aumento previsto si attesta attorno allo 0,8%, ma potrebbe raggiungere valori compresi tra l’1,6% e l’1,8% in base all’evoluzione dell’inflazione. Secondo i dati forniti dall’Istat, l’inflazione a febbraio 2025 era all’1,6%, salendo poi al 2% nel mese di marzo, complice un rialzo significativo dei prezzi nel settore energetico, che hanno registrato un +3,2%.
Le proiezioni delle autorità monetarie europee indicano un indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) attorno al 2,1%, valore considerato stabile. Sulla base di questo scenario, la rivalutazione delle pensioni nel 2026 si preannuncia leggermente più alta rispetto all’anno precedente, offrendo un piccolo adeguamento per proteggere il potere d’acquisto dei pensionati.
Tuttavia, per chi andrà in pensione tra il 2025 e il 2026, la situazione si complica. Il ricalcolo dei coefficienti di trasformazione, usato per definire l’importo dell’assegno pensionistico, porterà a una lieve riduzione dell’importo finale. È un effetto collaterale della necessità di contenere la spesa pubblica, in un contesto che cerca un fragile equilibrio tra sostenibilità del sistema e tutela sociale.
Il DEF 2025 specifica che l’aumento non sarà uniforme per tutti i pensionati, ma seguirà un criterio a fasce basato sulla legge 448 del 1998. Le pensioni minime dovrebbero passare da 598,61 euro a 604,60 euro mensili nel 2026. Anche l’assegno sociale, destinato alle persone in maggiore difficoltà economica, è previsto in crescita: da 534,41 euro a 539,75 euro al mese. Le pensioni di invalidità civile saranno adeguate da 333,33 euro a 336,66 euro.
Un aumento più marcato potrebbe arrivare se il tasso di rivalutazione straordinaria dovesse toccare il 2,2%, portando la pensione minima a circa 617,90 euro, o addirittura 620 euro con un tasso al 2,7%. Anche se si tratta di incrementi contenuti, rappresentano un segnale positivo per chi vive con redditi limitati e ha bisogno di sostegno per affrontare i rincari su beni essenziali e costi della vita sempre più elevati.
Le pensioni più alte, invece, riceveranno un incremento parziale. Quelle fino a quattro volte il minimo godranno del 100% dell’aumento, mentre quelle tra quattro e cinque volte del 90%, e oltre questa soglia si applicherà solo il 75%. L’impatto concreto varia quindi in base al reddito e alla fascia di appartenenza.
Meno favorevoli sono invece le prospettive per chi si accinge ad andare in pensione tra il 2025 e il 2026. I nuovi coefficienti di trasformazione introdotti per il calcolo dell’assegno porteranno a importi leggermente più bassi rispetto al passato. Un lavoratore di 67 anni con 400.000 euro di contributi accumulati, secondo le stime riportate da Il Messaggero, riceverà un assegno annuo di 22.432 euro se andrà in pensione nel 2025. Se avesse scelto di ritirarsi l’anno precedente, avrebbe percepito 460 euro in più, arrivando a 22.892 euro.
Questa discrepanza mostra come la riforma possa influenzare le scelte individuali, inducendo i lavoratori a posticipare il ritiro oppure ad accettare assegni meno generosi. Non si tratta di una riduzione drastica, ma di un trend che riflette una ristrutturazione del sistema previdenziale, pensata per garantire sostenibilità a lungo termine, ma non priva di effetti collaterali.
Il 2026 sarà quindi un anno di transizione per le pensioni italiane, tra piccoli aumenti per chi è già in pensione e nuove regole meno vantaggiose per chi sta per lasciare il lavoro. In un contesto di inflazione in risalita e crescita economica incerta, le decisioni del governo e i prossimi aggiornamenti sul DEF saranno determinanti per valutare l’impatto reale di queste misure sulla vita quotidiana dei pensionati.
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